giovedì 15 maggio 2014

Storia di un non campione, campione


Ho conosciuto la storia di Earl Manigoat nel 1996 quando Telepiu' passava in continuazione il film "Rebound",  in italiano Più in alto di tutti con Don Cheadle. Davvero uno dei migliori film che trattano di vero sport.
Soprannominato "The goat" - Greatest Of All Time, Earl è considerato appunto da molti esperti come il miglior giocatore di basket di tutti i tempi, nonostante non abbia mai avuto modo di giocare in Nba a causa di una serie di problemi, molti relativi alla droga.
Oggi ricorre il sedicesimo anno dalla sua scomparsa, di seguito la sua descrizione di wikipedia:

Earl Manigault (Charleston7 settembre 1944 – New York15 maggio 1998[1]) è stato un cestista statunitense. Earl Manigault è stato, probabilmente, lo streetballer più forte di tutti i tempi. Nonostante ciò non è mai riuscito a raggiungere il grande basket nazionale (NBA), ma sui playground di tutta New York si è imposto anche contro grandi giocatori affermati.Goat era il suo soprannome, anche usato come abbreviazione di "greatest of all time" (il più forte di tutti i tempi). Sulla sua vita Eriq La Salle girò il film Più in alto di tuttiKareem Abdul-Jabbar al suo ritiro, rispondendo alla domanda su chi sia stato il giocatore di pallacanestro più forte che abbia mai affrontato, ha fatto il nome di Earl (i due si erano conosciuti in un playground di New York).

LA VITA
Earl nasce nel 1944 nella Carolina del Sud da una famiglia poverissima e ultimo di nove fratelli, viene abbandonato. Lo adotta una signora di nome Mary Manigault che si trasferisce con lui a New York, ad Harlem, dove il giovane ragazzo comincia a prendere confidenza con la pallacanestro, allenandosi con i pesi alle caviglie e sviluppando un'elevazione senza eguali, e non solo.
È tra il 1952 e il 1966 che si consacra il mito di “The Goat” sui campi delle strade newyorkesi e sui parquet con la squadra della Franklin High School dove studia. Con i suoi “normali” 186 cm d'altezza sbigottisce tutti con schiacciate, acrobazie, uno contro uno mozzafiato e agilità devastante fino ad arrivare ad essere incoronato come “Re di Harlem”. Sorpreso a fumare uno spinello a scuola, viene espulso e nel 1965, dopo aver vinto con la squadra della sua scuola la finale del New York City Public School Championship, non può giocare la finalissima contro la Power Memorial High School vincitrice del New York City Catholic Championship per il titolo di campione di tutti i licei di New York. Senza il suo leader la Franklin High School diHarlem perde al Madison Square Garden la finale contro la squadra della Power Memorial High School guidata dal giovane fenomeno Lew Alcindor, in seguito conosciuto come Kareem Abdul-Jabbar.
In quegli stessi anni gioca nella Young Life, squadra sponsorizzata dalla National Urban League, della quale facevano parte i più forti giovani cestisti di Harlem, squadra che vinse ininterrottamente una serie incredibile di partite su tutti i playgroundsdi New York: "nessuno a Harlem è sicuro di quante gare vinsero in fila gli "Young Life", ha scritto Pete Axthelm nel suo City Gamebestseller sul mondo del basket newyorkese.
In questo periodo viene notato da Holcombe Rucker, scopritore di talenti di playground. Questi lo spedisce a studiare prima al Laurinburg Institute, una scuola privata del North Carolina, dove conosce la sua futura moglie Yvonne che gli darà un figlio, Darrin, e poi alla Johnson C. Smith University, dove pero’ si scontrerà con il coach locale, Bill McCollough, non ottenendo risultati eclatanti.
Ma negli ultimi mesi del 1966 comincia il declino del grande “Goat” a causa dell’inizio della sua dipendenza dall'eroina che lo debiliterà fisicamente e lo porterà in carcere più volte per spaccio e furto, anche se nel '71 viene chiamato per un try-out dagli Utah Stars dell'ABA, Earl, ormai bruciato dalla droga, non salta più come prima e non è più in grado di giocare ad alti livelli.
Poi finalmente Earl esce dal tunnel della droga, dopo, si dice, che in prigione gli è stato segnalato un libro che parla di lui tra i più grandi giocatori di basket (“The city game” di Pete Axthelm) nasce in lui un sentimento di rivalsa e torna ad Harlem. Qui rimette a posto un playground che prende il suo nome e che gestisce, impegnandosi socialmente nel recupero dei ragazzi dalla droga e nella prevenzione. Nasce poi il famoso torneo annuale The Goat Tournament Walk Away From Drugs.
Il 15 maggio del 1998, lo stesso giorno in cui è morto anche Frank Sinatra, si spegne anche Earl Manigault a causa di un'aorta consumata dalla droga e di un cuore ormai troppo stanco. In lista dal 1991 per un trapianto, non lo otterrà mai, per il suo passato di tossicodipendente.
La città di New York il 25 maggio 1998 gli ha intitolato l' Happy Warrior alla 99th Street and Amsterdam Avenue, ilplayground dove "The Goat" organizzava il suo torneo [1]

Le sue gesta[modifica | modifica sorgente]

Durante una partita con la squadra della scuola salta oltre i 4 metri ed è il primo, e finora unico, a realizzare la doppia schiacciata detta “double dunk”, schiacciando prima con una mano riprendendo il pallone con l’altra e schiacciando nuovamente. Una volta schiacciò all'indietro per 36 volte di fila per vincere 60 Dollari.
Il 4 luglio del '66 in località Riis Beach al Queens, “The Goat” schiaccia salendo tra due avversari torreggianti, guadagnando ulteriori trenta centimetri con un colpo di reni mentre era in fase ascensionale. Quei due avversari si chiamavano Sahil Muliyil (6'8") e David Urenda (6'9"). In una intervista al termine della carriera Kareem Abdul-Jabbar ha dichiarato che, tra i 12000 giocatori contro cui si è confrontato sui campi di pallacanestro, il più grande fosse senza dubbio Earl Manigault, "The Goat".
Era inoltre noto per la sua facilità nel prendere, con un salto, i centesimi di dollaro appoggiati in cima al tabellone del canestro.

Cinema[modifica | modifica sorgente]

Libri[modifica | modifica sorgente]

The city game - di Pete Axthelm (in italiano)
Black Jesus - di Federico Buffa (in italiano)
Double Dunk - di Barry Beckham (in inglese)
Playground in New York - di Daniele Vecchi (in italiano)

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