C’è che il ueicap chiude. C’è che insomma, ci stiamo facendo vecchi e i luoghi che hanno fatto da teatro al nostro passato, piano piano, ci stanno lasciando tutti. Metti la scuola. A via Tasso ci hanno fatto una palazzina moderna e fighetta al posto del mitico e iperfatiscente Istituto Olivieri. Idem senza nessuna fantasia per la vecchia sede di via Firenze. Entrambe tremavano al nostro passaggio all’uscita di scuola, entrambe facevano un po’ paura, però quelli erano i giorni, giorni avvincenti, mitici, di formazione nostra come persone, quelli erano i giorni e possiamo solo ricordarli. Metti il bar Le Nazioni, metti anche la vecchia sede di scuola in via Balilla, il bar di Quaquarella. Rimane solo la pizzeria Liceo, vecchie mattonelle, vecchi proprietari, vecchi odori. Una città che cambia e cancella in un solo gesto i teatri del nostro passato. Lacrime! Ora si porta via anche il ueicap.
Stiamo invecchiando e lasciamo dietro di noi rovine, stiamo invecchiando e non potremmo mai mostrare ai nostri (eventuali) figli la nostra scuola, la nostra vecchia palestra, i nostri bar. Così sarà per il ueicap che si scrive wake up, ma perché!!?!??!?!
Il ueicap quindi. Un mare di ricordi e nottate si mischiano, dieci anni di frequentazione, forse più, forse meno, ma che conta? Conta che lo buttano giù, conta che è stata una presenza forte e costante, un luogo diverso e confusionario, un posto infettivo e colorato, dove ci si poteva ingarrare selvaggiamente dove ci trovavi quelli che non andavano alla Fabbrica prima e a qualche altra discoteca fighetta di cui non conosco il nome oggi. Al ueicap c’erano tutti. Era un locale che non era precluso a nessuno che non diceva tu entri e tu no, tu non hai la camicia o la tua maglietta ispira odio. Se stavi ubriachissimo tanto da allungarti a terra con le persone che possibilmente ti calpestavano, non ti cacciavano, prendevano uno dei tuoi cumpign e gli dicevano ‘portalo a prendere aria, che si deve riprendere’ li cumpign in questione poi aprivano la porta e lo buttavano fuori sul marciapiede e gli altri continuavano possibilmente a calpestarlo, che così va la vita. Ma poi al ueicap lo facevano rientrare, mica ti facevi una brutta reputazione nonono.
Il ueicap e luce nella notte. Tetto basso e tanto sudore. Tetto basso e tette in giro con la musica di Umberto Building. L’olandese volante ti insegue. Ha la stessa canottiera dal ‘74, puzza di sudore, spende tutti i soldi in foto. E ti ritrae. Ti stai ingarrando con un supplì (o con IL supplì)? Lui noncurante ti scatta la foto. Sei ubriachissimo e strisci a terra a petto nudo, mentre le persone ti calpestano? Lui ugualmente non ha pietà e ti fotografa. Dove vadano a finire poi quelle migliaia di foto che fa ogni sera è un serio mistero tuttora irrisolto. E poi ci sono i bar. Forse il ueicap era l’unico locale in cui in un cocktail mettevano più sostanze alcoliche che cocacoletonicvarie. Delle bombe atomiche. Si usciva dal ueicap sempre barcollando, sempre felici, sempre cantando.
Il ueicap era umido. Il ueicap era intimo, confortevole, familiare.
Cos’altro ancora era il ueicap?
Il ueicap era un’idea più che un luogo reale!
Penso a questo mentre l’ultima notte – l’ultima davvero, non come gli altri anni – del ueicap sta andando via. Ironia della sorte è forse la prima volta in vita mia in cui mi trovo lì senza essere ubriaco. C’è tristezza nell’aria. Di vista conosciamo quasi tutti, poi ci sono quelli che conosciamo bene. Cento notti e cento altre ancora. Facce simpatiche e scorbutiche, c’è quella con cui si è ingarrato Valerio qualche tempo fa, le chiediamo se è proprio lei e ci risponde malvagia e aggressiva, ‘non conosco nessun Valerio, almeno nessun Valerio degno di nota’ e ci stava quasi per menare. Facciamo fatica a trovare un luogo dove fermarci. Per prendere da bere è un casino. Dal bancone piovono in continuazione gavettoni. C’è casino, tanto casino. Il locale è pieno. Eppure non sembra esserci troppa allegria. Boh. Abbiamo fatto la fila prima. Insieme a cento persone; quando aprivano la porta usciva un caldo bestiale. Quelli che uscivano erano sudati e stremati. Al ueicap se c’è troppa folla si sta male. Dopo quasi un’ora abbiamo deciso di andarcene. Via attraverso il ponte dei gran pompini, via verso la Lampara. Torniamo dopo, caro ueicap, aspettaci, non te ne andare.
E siamo tornati alle 3, resi sobri dalle scalate del ponte in bici, non potevamo mica mancare.
Fabbricando case, butteranno via centinaia di nostri venerdì sera. Il ueicap era parte di noi, fatto con noi, edificato con e sul nostro sudore. Con e sulla nostra saliva. Fabbricando case se ne vanno alcuni tra i nostri migliori giorni, la nostra storia. Storia di cazzate e amici, risate infinite, storie di giorni dopo. Perché il ueicap è stata soprattutto una storia di giorni dopo, sabati pomeriggio di aperitivi in cui si cercava con non poca difficoltà di ricostruire la serata precedente, il memorabile venerdì sera, sommando testimonianze, ricercando sms, foto e tutto quanto potesse servire a ricostruire la nostra serata al ueicap.
E mentre Umberto Building si prolunga in un propagandistico lamento e mentre tutti intorno piangono o si disperano e mentre qualcuno si ingarra, mi torna alla mente il mio ueicap. Una volta me ne andai dal ueicap con il motorino. Pensavo di tornare a casa, invece mi andai a schiantare contro una barca. E fu storia che si trasformò in leggenda. Più di una volta me ne andai direttamente dal ueicap in qualche città improbabile, con lo zainetto in spalle, ultras senza sonno. Una volta me ne andai dal ueicap dentro una macchina con le lucine blu accese sopra e una sirena. Dal finestrino guardavo i reduci del solito venerdì sera vedermi scomparire in cattività. Qualche volta me ne andai ridendo. Qualche volta troppo ubriaco per pensare a dove come quando cosa stavo facendo. A volte accompagnato, abbracciato e parlante. E quante ce ne possono essere? Quante storie? Matteo si sta commovendo. Questo pastore notturno che sta non ubriaco per la prima volta da decenni, che il giorno dopo dirà che “essere sobri è una delle cose peggiori che possa capitarti dopo mezzanotte” vede anche lui passarsi davanti agli occhi tutte le malefatte in anni di ueicap. La sua carriera è più recente della mia. Io ero fisso nei primi anni 2000, lui ha fatto i numeri migliori nel 2010. Sembra di casa. Saluta Hulk Hogan e chiede il permesso di baciarlo, dopo avergli dichiarato tutto il suo santo amore.
Fabbricando case rimaniamo di stucco. Silenziosi e guardinghi. Dal bancone continuano a spruzzare acqua e sostanze appiccicose. Qualcuno si lamenta che ‘insomma, che cazzo, dobbiamo pure tornare a casa completamente zuppi!’ Continuiamo a non capire. Davvero è l’ultima sera che siamo qui? Provare a ubriacarsi adesso è inutile. Qualcuno canta qualcosa. E Umberto Building urla al microfono che quello sarà l’ultimo disco del ueicap di sempre. Vecchio Lucio Battisti, che finisce presto. E rimaniamo noi, lì. Che facciamo adesso, ce ne stiamo qui a guardare intorno, come a ricordarci il locale. C’è il turno dei saluti, come nei funerali, davvero. Si passa al bancone di ingresso, c’è Sabina, la madre del defunto. In uscita riacquistiamo il sorriso. C’è la guagliona di Damiano. Domenico la sta accimentando ancora. Ci avevamo provato prima a fargli fare brutta figura a far incazzare lei. ‘Conosci questi?’ aveva mormorato. Una pessima referenza, talvolta.
Il nostro nichilismo disincantato, il chiamare tutto e tutti per nome e cognome ci rende famigerati. Matteo in particolare si è fatto una certa fama qui. Storie di nichilismo notturno armato, storie di ueicap. Storie di ‘ci sta Valerio, ci sta Matteo, ci sta Bauletto’.
Storie di ‘lui è il figlio del sole, io sono l’uomo che rema sul moscone’
‘Mi dai un sorso? No! Vattl a comprà’
‘Che facciamo stasera?’ ‘Andiamo al ueicap’
‘Che hai fatto ieri sera al ueicap? Ti sei ingarrato? Con chi?’
‘Smafriamoci per bene che poi andiamo al ueicap’
‘Non ce l’ho la tessera di uscita, ma fidatevi che qualche consumazione l’ho fatta’
‘Sci la tessera ce l’ho sono Bauletto Danzante’
‘Ma è appena entrato!’
‘Ehm, sono Tommy Guerra’
‘Hulk Hogan, lui è tuo figlio!’
‘Ti vu ‘ngarrà?’
‘Valerio al ueicap ha una percentuale di ingarration del 100%’
‘Adesso mi odi?’ ‘No!’ ‘Mi ami?’ ‘No’ ‘Oh a macs, fa qualcosa, chissì mi indifferenzia..’
Qualcosa c’era al ueicap per renderlo un locale divertente e diverso. Forse il ueicap non esisteva, era una nostra immaginazione, una nostra illusione alcolica, forse nulla più.. Eppure questa illusione ci mancherà parecchio, questo nostro passato che verrà buttato giù.
Vabbè, nuovo ueicap cercasi.
FONTE: villatelesio.wordpress.com